Zio Pasa

28 giugno 2008

ripartiamo dall'inizio...

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leggendo queste righe, sono rimasto stupefatto, non solo della bravura dello scrittore, ma anche di come questo personaggio (il bimbo-fumetto Charlie Brown), ogni giorno di più, sia l'incredibile, inattesa, consolante, sovrapponibile trasfigurazione del sottoscritto.

[...] figure di una complessità del tutto inusitata, nel mondo fumettistico: non tipi, non caratteri, ma personaggi. Prima d'ogni altro, Charlie Brown, perplesso e indifeso protagonista di questa saga infantile. Afflitto da un perpetuo senso d'inferiorità, ineluttabilmente condannato alla solitudine alla frustrazione allo scacco, Charlie Brown è tuttavia ben lontano dall'offrire una parafrasi dei modesti vizi e delle meschine virtù di un'unimanità grigiamente mediocre; né tanto meno i suoi patemi d'animo, le sue sconfitte nascono da un'oggettiva inferiorità di livello mentale. Volete una vera immagine della mediocrità? ecco Arcibaldo; volete un essere veramente inferiore? ecco Pippo. Charlie Brown è un'altra cosa. E', addirittura, un piccolo, avvilito ma caparbio eroe del pensiero. Se l'ingenuità lo conduce all'insuccesso, se l'inesperienza lo intrappola nell'errore, mai tuttavia egli disarma nel suo sforzo di capire il mondo, di capire se stesso. Vuole vivere secondo ragione e secondo coscienza: una ragione e una coscienza infantili, naturalmente, ma non per questo meno ferme. E' esposto a tutte le offese perchè conosce il dubbio, cioè pratica la riflessione. E' inetto alle cose pratiche, si tratti di far volare un aquilone o costruire una barchetta di carta, perché la sua testa rotonda è tutta occupata e imbrogliata dal rovello dell'autoanalisi. Si scandalizza vedendo Lucy indottrinare della sua spavalda ignoranza il fratellino minore, perché crede nei Valori, nella Verità, nelle Idee. Accetta volentieri le critiche ("un po' di critica non può che far bene"), ammette i propri difetti, è consapevole del buffo aspetto fisico che gli amici dileggiano. Rifiuta di accedere ai rifugi, di concedersi i conforti cui essi ricorrono, la coperta di Linus, il pianoforte di Schroeder, la sporcizia di Pig Pen. Non ha vie d'uscita, perché non può venir meno al suo impegno di lealtà verso se stesso. Si guarda vivere; ha bisogno solo di un po' di comprensione, un po' di affetto. Quando la perfida Violet gli dice che non lo invita alla sua festa e gli fa "cicca cicca" e se ne va lasciandolo solo, dolorosamente commenta: "Non mi importa che non mi inviti... ma sono quei 'cicca' che mi fanno male". Lui, Charlie Brown, rispetta sempre l'umanità, la dignità altrui.

Nevrotico, ipersensibile, malato di emotività? Sì certo. Eppure, se Charlie Brown è un essere asociale ciò dipende da un vivace senso della socialità, estraneo ai suoi coetanei e compagni, che ignorano le sue preoccupazioni così come non raccolgono il suo invito all'equilibrio e alla ragionevolezza. Il dramma esistenziale di questo personaggio è angoscioso, non patetico, appunto perché affonda le radici nell'intelletto, non nella pura sensibilità. Siamo agli antipodi dei Pricò, dei piccoli scrivani fiorentini, dei lord Fauntleroy. Attraverso Charlie Brown, Schulz ha scoperto l'infanzia come l'età in cui la ragione si forma e si afferma, combatte le prime battaglie, conosce le prime umilianti sconfitte. Perciò il piccolo protagonista sembra partecipare di una duplice dimensione, l'adulta e l'infantile: in realtà egli è sempre e soltanto un bambino, e da bambino vive le sue angosce intellettuali. Solo che le configura secondo i modelli forniti dal mondo adulto, le definisce in base ai moduli verbali echeggiati dal mondo dei grandi. Questo è l'amaro segno della sua modernità.

(
dalla prefazione di Vittorio Spinazzola a POVERO CHARLIE BROWN! - Baldini&Castoldi - 2000)

25 giugno 2008

accettasi suggerimenti

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come progredire nella rinunzia alla propria volontà proprio nel momento in cui, su tutti i fronti, essa si fa più sentire e nello stesso tempo viene puntualmente frustrata (il sovrapporsi delle due situazioni sembrerebbe non essere casuale...)?