Zio Pasa

03 dicembre 2006

Come veri indiani...

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E' iniziato, da poche decine di minuti, il giorno 3 Dicembre 2006. Quante volte avevo pensato a questa data. Da quanti anni la aspettavo.

Quanto è difficile! Quanto è difficile trasmettere un sentimento, se viene dal profondo. Non ci sono parole. E quelle (poche) che mi vengono in mente sono superficiali, quasi blasfeme. La tentazione è di fare i superiori, dire che è solo un gioco, e i tanti discorsi sono solo retorica. Ma dentro bruciare. Perchè, come disse un anziano tifoso giornalista, che ora forse ci ha lasciati mentalmente sebbene non ancora fisicamente, "non c'è più grande amatore di chi, all'apparenza, bestemmia, perchè non vuole condividere l'oggetto del suo geloso amore".

Ma io mi voglio sforzare. Voglio rendere partecipi tutti quanti della gioia che provo. Non bestemmierò, e questi 100 anni di gloria li racconterò per bene, autenticamente.

100 anni fa, in una birreria di via Pietro Micca, venne posta la firma sull'atto costitutivo di una nuova società calcistica: il Torino. Simbolo sociale: toro rampante. Colore sociale: granata.


"Rosso come il sangue, forte come il barbera" scrisse un poeta triste, mezzo secolo dopo. Aveva ragione, il poeta triste. Aveva ragione, perchè in quei 50 anni di cose ne erano successe: uno scudetto vinto, ma poi revocato, perchè si sospettavano brogli ai danni della seconda squadra locale (la gi***ntus). Fu dimostrato e messo agli atti, in seguito, che tali brogli erano pura fantasia, ma lo scudetto non venne mai restituito ai legittimi proprietari. Non fa niente, perchè tanto l'anno successivo il Toro vinse di nuovo, e questa volta nessuno potè privare la città della gioia meritata. Fu la prima liberazione, la prima di una lunga serie. Anche da questo remoto episodio, in cui ormai leggenda e verità storica si mescolano senza poterle più distinguere, si può trarre una conclusione sulle emozioni che un toro rampante bianco (impresso su uno sfondo granata) può suscitare nell'animo di chi ha sensibilità sufficiente per capire. Perchè mai simbolo societario fu scelto più accuratamente: come un vero toro nell'arena questa squadra è costretta dal destino a lottare in una lotta impari, che la vede predestinata a morte certa, sotto gli occhi goduti di un pubblico insensibile, soggiogato dalle leggi del divertimento umano, del sollazzo immediato e superficiale. Ma è proprio questa la situazione che permette ad un toro di essere veramente animale mitologico, di estrinsecare la propria natura di potente e temuto lottatore. Senza essere prima trafitto, senza vedere il rosso del proprio sangue schizzare davanti ai propri occhi, senza scorgere negli occhi del torero la derisione, negli occhi del pubblico di avvoltoi il gusto macabro della morte che sta per consumarsi, il toro sarebbe semplicemente un ruminante, un po' goffo un po' ridicolo, degno, in quanto a nobiltà, della propria naturale consorte. Ed è nella arena che il toro vinse il suo primo campionato, dopo un'ingiustiza subita, dopo il primo affondo di lama. Era il 1928, e la gioia in città fu grande, perchè la vittoria era stata due volte meritata, e la gente del toro iniziò a capire che se si vuole godere il doppio degli altri bisogna a prepararsi a soffrire il quadruplo.

"Più a fondo vi scava il dolore, più gioia potrete contenere", ha scritto un profeta dell'Islam. Molti aspetti del mio essere un granata sono sintetizzati in questa bellissima frase. E questo mi conforta, quando la mia mente di tifoso ripercorre le gesta ma soprattutto i volti e i nomi di una memorabile formazione che onorò la maglia granata verso la metà del 1900, una ventina d'anni dopo il primo scudetto. Bagicalupo Ballarin Maroso Grezar Castigliano Rigamonti Menti Loik Gabetto Mazzola Ossola. Fu la squadra più forte del mondo. 10 di questi 11 giocatori erano anche titolari della nazionale. Vinsero 5 scudetti, uno dopo l'altro, senza mai fermarsi. Ne avrebbero vinti anche altri, ma il destino, tra le tante sfortune, volle appioppare a questi ragazzi anche quella di giocare in periodo di guerra. Qualche campionato saltò, e addio scudetto. Erano famosi, a Torino, in Italia, in Europa, nel mondo. Erano chiamati gli invincibili. Come anche le squadre più forti al giorno d'oggi, non sempre giocavano benissimo, perchè, essendo più forti degli avversari, alle volte non trovavano gli stimoli giusti. Ma al contrario di ciò che accade oggi, erano ragazzi che giocavano soprattutto per il proprio pubblico, e non per gli sponsor: pertanto, quando era ora di darsi una mossa, un incaricato della tifoseria (che oggi chiameremmo capo ultras, allora si chiamava trombettiere) suonava la carica con la propria trombetta e tutti i tifosi iniziavano a sbattere violentemente i piedi sulle gradinate; udendo questo, il capitano Valentino Mazzola si fermava a centrocampo, si rimboccava (letteralmente!!!!) le maniche e spronava i suoi compagni. E il Toro iniziava a giocare, a segnare, a vincere. E quando raggiungeva un discreto vantaggio, non si fermava più, e metteva a segno un gol dopo l'altro, senza badare ad aver rispetto per l'avversario (come si farebbe oggi). Perchè il toro animale quando inizia a lottare conosce solo la furia cieca, a costo di continuare ad infierire sulla carcassa del povero malcapitato. La gente di Torino (ma anche di tutta Italia) si divertiva, e amava questa squadra, e ricominciava a sognare dopo gli anni bui della guerra.


Ma il destino beffardo e gi***ntino era alle porte. Perchè (e di questo non ho ancora parlato) le gioie granata sono tanto intense e profonde quanto brevi, e sempre sono destinate a spegnersi in un mare di lacrime. Fu proprio quello che accadde. La mattina del 4 Maggio 1949 l'aereo che riaccompagnava a casa gli 11 eroi (più allenatori, giornalisti, panchinari) da una trasferta a Lisbona si schiantò, causa nebbia, sul retro del monastero della basilica di Superga. Non ci furono superstiti. Migliaia di persone comuni da tutta Italia, e le massime autorità parteciparono ai funerali torinesi che si svolsero pochi giorni dopo. Finì così il primo sogno italiano del dopoguerra, ma per i tifosi del Toro quella tragica data costituì un vero spartiacque. Ora era chiaro cosa voleva dire essere granata, e quale era il destino di questa società; vivere di attimi di immensa gioia, che svaniscono immediatamente nel nulla, ma lasciano indelebili ricordi, e nutrono gli animi più sensibili del cibo più prelibato che possano ricevere: ricordi di un tempo felice, personaggi mitici, storie leggendarie. Personalmente, di quei ragazzi amo rivedere (nei documentari televisivi) gli splendidi sorrisi che solcavano i loro volti allorchè si esibivano pubblicamente. Sorrisi di grande umanità e semplicità. Sorrisi di forza e di determinazione. Sorrisi di persone forti come il barbera.


La tragedia di Superga segnò la storia della società ma anche quella della tifoseria. Ed è per questo che dagli anni 50 fino ad oggi ogni cosa a Torino è fatta in ricordo ed in funzione degli Invincibili. Non è vero che non ci sono stati altri idoli, altre grandi formazioni, altre importanti vittorie. Anzi. E' vero che qualsiasi cosa da quel momento in poi venne vista come un modo per rendere giustizia alla gloria di quei ragazzi leggendari. Fu per questo che quando, nel 1976, il Toro conquistò il suo (per ora) unico scudetto del dopo-Superga i tifosi granata, senza che niente di ufficiale fosse stato organizzato, si riversarono in massa sulle strade che conducevano alla basilica dello Juvarra, e la Sassi-Superga divenne una lenta processione di tifosi che durò tutta la notte. La gioventù (e non) torinese (e non) rese così nuovamente omaggio ai suoi 11 eroi definitivi. "Eccoci ragazzi. Non ci siamo dimenticati di voi. Abbiamo vinto di nuovo, abbiamo vinto come avreste continuato a fare voi, abbiamo vinto per voi, il fato è vendicato, la vostra morte ha un senso, Torino c'è ancora ed più forte di prima, e ora sappiamo che ci sarà per sempre." Ovviamente la gioia durò un'estate appena, perchè al campionato successivo il Toro, che si presentò come la squadra da battere, arrivò secondo dietro ad una squadra di ladroni che aveva la divisa dei colori dei carcerati. Infatti 50 punti (un record, quando la vittoria valeva 2 punti!!) non bastarono a superare i 51 punti degli odiati rivali, i quali furono peraltro aiutati da qualche strana (ma consueta) circostanza arbitrale in numerose partite di campionato.


Ora potrei parlarvi dei tanti altri personaggi mitici che hanno onorato col loro sudore (ma spesso anche col sangue) la loro casacca granata; come quella ala fantasiosa e bizzarra (che si chiamava Gigi, un nome caro ai tifosi del Toro!) che era ormai considerato un grandissimo campione emergente, che stava iniziando a far sognare nuovamente la gente di torino per il suo talento che tanto ricordava gli 11 del Grande Torino, e che (ovviamente) morì investito da un auto una sera di ottobre (novembre?) , e alla guida dell'auto c'era un sedicente tifoso torinista, il quale trent'anni dopo divenne presidente della società granata e la portò allo sfascio e al fallimento definitivo, pilotato dai poteri cittadini che sempre hanno mal visto la presenza di una squadra torinese che non portasse come divisa un pigiamino a righe bianconere...ebbene, la domenica successiva alla sua morte, si giocava guardacaso il derby, e il Toro vinse 4-0 (unica volta nella storia) e un giocatore fino a quel momento neanche tanto conosciuto (il numero 8, un numero anch'esso molto significativo!) segnò 3 dei 4 i gol...un nuovo personaggio leggendario entrava da quel momento nei cuori dei tifosi...


...oppure potrei raccontarvi di un grande capitano che si chiamava Giorgio, e non mollava mai, e lottava come un toro nell'arena, e amava questa squadra, questi colori, questa città, e a fare brillare i suoi occhi azzurri per il Toro fu proprio la tragedia di Superga, la cui notizia lo raggiunse da bambino nella sua Trieste, e lo colpì a tal punto che decise che lui avrebbe lottato per riscattare il lutto che aveva colpito la nostra città...


...oppure potrei raccontarvi di tante (MA TANTE!!) partite sofferte, dominate, STRADOMINATE, ma perse per sfortuna, per torti arbitrali, perchè siamo il Toro...

Potrei raccontarvi della finale di coppa Uefa persa per due pali e una traversa, e di un allenatore (ora putroppo g***entino) che, non potendo prendersela nè con i suoi, nè con gli avversari, nè con l'arbitro, se la prese col cielo, e alzò una sedia verso l'Onnipotente in segno di sfida...


..oppure potrei raccontarvi dello spareggio promozione di Reggio Emilia perso (in 10 contro 11 per 110 minuti) soltanto ai rigori, anzi, soltanto all'ULTIMO rigore, che si schiantò sul palo, calciato da un terzino inglese (in Italia solo di passaggio) al quale chissà se hanno mai spiegato che in quel modo è entrato nella storia e nella leggenda della squadra che dalla storia e dalla leggenda trae sostentamento...e a fine partita un glorioso capitano (anche lui si chiamava Gigi, anche lui aveva il numero 8) si alzò la maglia e fece vedere il suo ventre insanguinato e lacerato dalle ferite, causate dalla cattiveria degli avversari che lui stesso definì "squadra di morti"...


...
tante altre cose vorrei raccontare...tre rigori contro in una finale coppa italia, e anche in una finale play off (entrambe poi vinte...tiè!)...derby vinti...derby rimontati...gente in mutande in maratona...gente che mi passava sopra...gente che mi passava sotto...un mio amico che mi baciava...e tante, tante, tantissime lacrime versate...urli impronunciabili verso la curva avversaria quando un Cileno (Dio lo benedica) sparò in tribuna il rigore g***ntino del 4-3...insomma, grandi gioie e grandi dolori, come la storia ci ha insegnato...


Invece, quello che voglio dire, in chiusura, è che io nella storia di questa squadra mi ci ritrovo, ritrovo il mio carattere, il mio modo di vivere, il mio modo di confrontarmi col passato e di sognare il futuro. Mi rivedo negli occhi della gente allo stadio, sento che alla televisione si parla di me quando un giornalista dice (senza capire) "cuore granata" , ascolto i discorsi dei tifosi anziani e trovo le mie radici, vivo le sconfitte sportive e in esse sento forte l'analogia con la condizione umana (legata alla sofferenza), esulto alle vittorie, e vedo la consolazione. E dal mio essere granata traggo un senso al mio personale, eterno stato d'animo: quello di sentirmi sempre da solo contro tutti, uno contro un milione, l'indiano contro i cowboys, il realmente diverso nella bolgia delle finte ed omologate diversità, come il toro nell'arena, come un vero indiano...


TANTI AUGURI ME GRAND TURIN...

...E GRAZIE!!!

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